UN PRIMO APPROCCIO ALLA STORIA MEDIEVALE CON LA PROFESSORESSA ELEONORA PLEBANI

Studiare storia in maniera approfondita non è di certo semplice: occorre portare avanti un'operazione di forte immedesimazione all'interno di anni spesso lontani, diversi e pieni di contraddizioni. Occorre mettere da parte una serie di preconcetti, i quali spesso ci portano fuori strada nell'indagine storica.
Attuare questa operazione all'interno di un'epoca come il medioevo, forse risulta ancora più complesso, considerando l'importante quantità di pregiudizi che ancora oggi accompagnano questa lunghissima epoca.
Se non si è specialisti, "addetti ai lavori", ma dei semplici appassionati, risulta difficile addentrarsi nella complessità di un'epoca così lontana e soprattuto così duratura.
Per studiare il medioevo risulta essenziale dover mettere da parte una serie di preconcetti e congetture, spesso derivanti da luoghi comuni, dovuti a falsi miti, fiction, film ed anche ad un cattivo approccio portato avanti nelle scuole.
Fare ciò, come detto, non è semplice, per questo noi di ELBA abbiamo deciso di farci aiutare dalla Professoressa Eleonora Plebani.
Eleonora Plebani è docente di Storia Medievale presso l'Università La Sapienza di Roma, dove svolge attività di ricerca incentrata soprattuto sugli Stati italiani tardoquattrocenteschi.
Ringraziamo la Professoressa Plebani per essersi prestata a questa intervista e per averci aiutato nei nostri fini di divulgazione storica.
A voi l'intervista...
Quando si inizia lo studio della storia medievale in maniera più approfondita, si rimane spesso stupiti di come la datazione di inizio e di fine di questa lunghissima epoca sia in realtà una convenzione.
Volevo chiederle dunque se ci può spiegare perché le due date simbolo di questa datazione, ovvero il 476 ed il 1492, rappresentino in realtà delle semplici convenzioni, dei simboli e non dei veri e propri passaggi reali e storici da un'epoca all'altra.
La periodizzazione è necessaria per la distinzione delle discipline storiche, articolate in maniera diacronica. Le date estreme del Medioevo sono state discusse a lungo (almeno a partire dal XV secolo) e ancora oggi sono differentemente prese in considerazione anche sulla base delle "storie" nazionali. In Inghilterra, ad esempio, il Medioevo si ritiene terminato con l'avvento dei Tudor (1485), in Francia con la fine della Guerra dei Cent'Anni (1453), in Spagna con la caduta di Granada, ultimo avamposto musulmano e con il primo viaggio di Cristoforo Colombo (1492). L'affermazione del 476 come data iniziale è, invece, il prodotto della cultura tardo ottocentesca per la quale la caduta dell'ultimo imperatore d'Occidente è stata pensata come evento di portata devastante. Nell'ottica culturale del XIX secolo, la deposizione di Romolo Augustolo era sinonimo della fine dell'istituzione imperiale e l'inizio dell'affermazione degli innesti germanici sull'antico mondo romano. Tuttavia, altre date sono state proposte, ad esempio il 410 (l'anno del sacco di Roma da parte dei Visigoti) e il 455 quando l'Urbe fu saccheggiata dai Vandali. Attualmente, i manuali universitari estendono la trattazione del Medioevo fino a comprendere l'età di Costantino I, abbracciando quindi un periodo compreso tra il IV e il XV secolo. Un ritorno alle origini, in un certo senso, dal momento che Christof Keller, lo storico che conferì alla medievistica dignità di scienza autonoma pubblicandone, nel 1688, il primo manuale, prendeva in considerazione gli stessi secoli.
Dato che, come abbiamo detto e come sappiamo, il medioevo è un'epoca lunghissima, circa mille anni, e chi studia Storia sa quanto è difficile, o forse impossibile, etichettare così tanti anni in un'unica cornice, non sarebbe più corretto parlare di più medioevi invece di uno solo?
Forse non più corretto, ma sicuramente più suggestivo. È vero, comunque, che i cambiamenti attraversati dalla società europea (il Medioevo è, infatti, una categoria storiografia strettamente legata all'Occidente europeo) possono indurre a pensare a una serie di epoche diverse aggregate in un'unica denominazione. In realtà, sussistono elementi comuni che accompagnano tutti i secoli medievali (il rapporto tra potere temporale e potere spirituale, l'evoluzione delle monarchie europee, la sopravvivenza delle strutture urbane seppure in maniera diversa nelle varie aree del continente, gli scambi commerciali attuati in modo più o meno ristretto e così via). L'inusitata durata del Medioevo è comunque mitigata dalla partizione interna fra alto Medioevo (secc. V-XI) e basso Medioevo (secc. XI-XV) che "condividono" il primo secolo del secondo millennio come spartiacque fra le due sezioni. Tralascio ulteriori proposte di suddivisione interna per non generare eccessiva confusione, ma segnalo che una delle tendenze più diffuse attualmente tiene in considerazione anche un periodo pre-medievale, il tardoantico, che comprende i secoli dal IV al VI, sovrapponendosi, nel secondo estremo, ai primi duecento anni dell'alto Medioevo. Insomma, di materia per riflettere ce n'è più che a sufficienza.
Il medioevo è un'epoca complessa abbiamo detto, e perché spesso questa complessità viene ignorata e a questi mille anni di storia vengono attribuiti pregiudizi che spesso non trovano nessun fondamento?
Ancora oggi non si riesce a smentire la favola di un medioevo come epoca buia, oscura e di decadenza culturale. Questa etichetta del medioevo come periodo buio dell'umanità non si ritrova solo in fiction, o film ma spesso viene portata avanti proprio nelle scuole. Vogliamo dunque sfatare una volta per tutte la favola del medioevo come un periodo oscuro dell'umanità?
La valutazione negativa dei secoli medievali risale molto indietro nel tempo. La cultura quattrocentesca (quindi, secondo la periodizzazione attuale, ancora inserita cronologicamente nel Medioevo) elaborò i primi giudizi di condanna dell'epoca che precedeva il XV secolo. Da quel momento in avanti, l'Età di Mezzo è diventata l'unico periodo storico che sia stato a propria volta storicizzato, senza che, tuttavia, la riflessione sempre più approfondita e dotata di strumenti teorici e analitici di maggiore raffinatezza abbia condotto a modificare – o almeno a mitigare – la condanna del Medioevo. Ad eccezione della parentesi del Romanticismo, occorre arrivare fino al XX secolo per riscontrare un'inversione di tendenza che si prolunga fino ai nostri giorni. Per quanto riguarda la contemporaneità, secondo me, è necessario operare una tripartizione. Da un lato collocherei il senso comune per il quale, ancora adesso, qualunque concetto sia accostato all'aggettivo "medievale" ha in automatico un'accezione negativa. Da un'altra parte, invece, metterei la cultura rivolta al grande pubblico (narrativa, cinema, fiction, documentari, trasmissioni televisive o diffuse tramite media diversi, rievocazioni, manifestazioni di tradizione più o meno antica, festival) che, al contrario, propone e promuove l'interesse verso il Medioevo con risultati – mi pare – lusinghieri e con un successo che attesta come la fascinazione verso quell'epoca sia molto più sentita di quanto si immagini. In ultimo porrei la formazione scolastica che, a mio parere, non tiene il Medioevo (o meglio, la Storia in senso generale) nella considerazione opportuna, né aggiorna il suo insegnamento sulla base delle nuove interpretazioni, perpetuando stereotipi dei quali la medievistica ha da tempo provveduto a dimostrare l'infondatezza. A mio avviso, se la scuola e la cultura generale fossero maggiormente "sintonizzate" reciprocamente, anche il Medioevo del senso comune potrebbe diventare un'idea positiva. Il mondo universitario sta dedicando energie e impegno in questo senso: è ciò che si definisce "Terza Missione" che, affiancata alla didattica e alla ricerca, si propone di far uscire la scienza storica dalle aule universitarie e dalle riviste di settore per aprirsi al territorio, al pubblico non specialistico, agli studenti delle scuole superiori. Prima o poi, sono convinta che i risultati arriveranno.
Veniamo adesso ad una domanda un po' banale e magari anche po' retorica: perché secondo lei è utile lo studio della storia medievale? Un'epoca così lontana e che appare anche così diversa da noi, cosa ci ha lasciato e cosa può ancora insegnarci?
Partendo da un quadro più generale direi che lo studio della Storia in senso lato è utile, non tanto per imparare dagli errori del passato (che la historia non sia magistra è evidente) quanto per capire da dove veniamo e come il nostro tempo abbia debiti molto consistenti verso quelli che lo hanno preceduto. Al Medioevo in particolare risale buona parte di strutture tuttora attive, teoriche e pratiche (l'idea di Stato, la formazione universitaria, i fondamenti delle lingue europee, alcune basi organizzative dell'economia, la diffusione della carta come materiale scrittorio e della stampa in termini di produzione libraria, la tensione verso l'esplorazione come forma di globalizzazione e così via) senza conoscere le quali non è possibile possedere le competenze per leggere e decifrare il nostro mondo contemporaneo. Il Medioevo è sicuramente un'epoca lontana in termini cronologici, molto meno sotto il profilo di tutto ciò che da allora arriva direttamente fino ai nostri giorni.
Chiariti questi punti generali, veniamo ai suoi studi.
Lei ha incentrato i suoi studi sulle città italiane del basso Medioevo, ci sa dire da cosa nasce questo interesse?
In verità non è propriamente la dimensione cittadina al centro di alcune delle mie linee di ricerca, quanto gli Stati italiani tardoquattrocenteschi analizzati soprattutto dal punto di vista delle relazioni politiche e negoziali. L'interesse è nato, come spesso accade, dalle prime fasi dell'attività accademica; sia la mia tesi di laurea, sia quella del dottorato di ricerca erano incentrate su due famiglie fiorentine, i Medici nel primo caso, i Tornabuoni nel secondo. Seppure indagate con prospettive diverse, entrambe mi hanno posta in contatto con tipologie di fonti, di temi e di problemi che mi hanno aperto squarci molto coinvolgenti sul circuito statuale italiano alla fine del Medioevo. Ho proseguito, quindi, con la lettura costante ed aggiornata della produzione storiografica specifica, effettuando sempre più profondi scavi d'archivio e concentrando l'attenzione su alcune figure bene individuate di protagonisti dell'attività politica e diplomatica. La prospettiva è prevalentemente quella fiorentina di età medicea.
Come ci si approccia allo studio di un periodo così lontano, ma anche e soprattutto così complesso?
Come ci si ritaglia il proprio percorso di studio all'interno di anni così articolati soprattutto da un punto di vista politico?
L'approccio allo studio, secondo il mio parere, deve essere guidato dalla passione e dall'interesse. Da lì tutto il resto arriva quasi spontaneamente. Il percorso viene in un secondo momento, leggendo quanto è già stato prodotto, scandagliando a tappeto le tematiche e gli argomenti sui quali ancora si possano attivare laboratori di idee e di confronti e, soprattutto, lasciando parlare le fonti. Solo ascoltando quello che viene dalle testimonianze (moltissime) che il Medioevo ci ha lasciato riusciamo a capire quali voci siano per ognuno di noi più loquaci, o semplicemente più affascinanti e coinvolgenti. Sicuramente non suggerisco di adeguarsi alle mode; ciascuno deve dedicarsi all'ambito della ricerca che maggiormente ritiene più vicino ai propri interessi, senza cercare il facile consenso, o la visibilità, o di conseguire il massimo risultato in termini di fama con il minimo sforzo dal punto di vista della ricerca. L'effimero passa, la ricerca seria resta.
Firenze è nota in tutto il mondo per la sua bellezza, ma a me viene in mente la centralità politica che la città ebbe alla fine del medioevo: la sua moneta, il fiorino, è stata delle volte definita come il "dollaro del medioevo".
Ci può spiegare il lascito di Firenze all'interno della cultura europea ed occidentale?
Come il fiorino è stato la moneta circolante più diffusa nel basso Medioevo, così i Fiorentini furono definiti dal papa Bonifacio VIII come il quinto elemento del mondo. Presenti su tutte le piazze internazionali, banchieri dei pontefici, mercanti abili, intraprendenti e spregiudicati, i cittadini di Firenze intrattenevano rapporti commerciali ad amplissimo spettro, aggregandosi in comunità (le cosiddette nationes) – al pari della maggioranza dei residenti all'estero – amministrate da un console. Le connessioni tra operatori economici, ambasciatori e attività di spionaggio sono note e la politica si serviva di queste ramificazioni e intrecci di interessi per inserire Firenze in un quadro relazionale a vasto raggio. Firenze fu il centro propulsore della cultura rinascimentale: artisti, letterati, filosofi le conferirono rinomanza internazionale, abilmente sostenuti, però, da mecenati e protettori in grado di comprendere appieno il potenziale dell'investimento culturale. Non si trattava soltanto di ricerca o di consolidamento del consenso per una famiglia, come i Medici, che dirigeva la politica cittadina senza averne alcuna legittimazione formale, bensì anche di consapevolezza che incentivare l'ingegno umano significa conquistarsi, in un certo senso, l'immortalità. E i Medici non furono sicuramente gli unici a praticare un evergetismo di dimensioni imponenti; molte famiglie dell'oligarchia fiorentina agirono come benefattori dell'arte e della cultura. Secondo me questo è il lascito più importante che Firenze abbia trasmesso, oggi spesso disatteso e troppe volte svilito: la cultura è il più prezioso dei beni e dei doni, ogni manifestazione delle capacità intellettuali dell'uomo è un patrimonio materiale e immateriale che appartiene trasversalmente alle generazioni, allo stesso tempo simbolo e scrigno di memoria condivisa.
Quando pensiamo all'Italia sul mare ci vengono subito in mente Venezia e Genova, e di rado pensiamo a Firenze, mentre lei in una sua recente pubblicazione che si intitola I Consoli del Mare di Firenze nel Quattrocento ci parla proprio della proiezione che l'attuale capoluogo fiorentino aveva sul mare. Ci può spiegare il rapporto tra Firenze ed il mare?
Politicamente, il controllo della costa toscana fu indispensabile a Firenze per esercitare un dominio a proiezione regionale; in questo senso andarono la conquista di Pisa del 1406 e l'acquisto di Livorno del 1421. Sotto il profilo commerciale la possibilità di possedere porti, cantieri, arsenali e competenze marittime significava tentare di affrancarsi dal noleggio di vascelli privati, essenziali per il trasporto dei beni sulla lunga distanza. Si trattò, in ogni caso, di un progetto destinato al fallimento per gli elevatissimi costi, per la concorrenza inarrivabile di potenze marinare di ben più consolidata tradizione (Venezia e Genova sicuramente, ma anche l'Aragona), per lo stato di guerra endemica che esigeva sempre più spesso la trasformazione delle flotte mercantili in vascelli da guerra, per le azioni di pirateria che costringevano le galee da mercato a viaggiare in convoglio e armate. Un'avventura affascinante, con inevitabili intrecci politici e ripercussioni internazionali che, tuttavia, non riuscì a dare a Firenze quella confidenza con il mare che non apparteneva alla sua storia.
Nei suoi studi lei si è imbattuta più volte nella famiglia Medici, ma anche in quella dei Tornabuoni ed avrà avuto a che fare con numerosissimi personaggi della storia medievale. Ce ne saprebbe indicare uno a cui è rimasta più legata?
La risposta più ovvia dati i miei indirizzi di ricerca è Lorenzo de' Medici, il Magnifico, la cui personalità è talmente sfaccettata e multiforme da renderlo un personaggio sempre nuovo ad ogni studio che su di lui si conduce o che al suo governo fa riferimento. Tuttavia, un secondo nome è sicuramente Pierfilippo Pandolfini, politicamente e personalmente molto vicino a Lorenzo, ambasciatore della Repubblica fiorentina, uomo di cultura e bibliofilo; l'ho analizzato alcune volte negli anni scorsi e tornerò nuovamente quanto prima a occuparmi di lui.
Ci avviamo alla conclusione di questa intervista e le chiediamo se le va di condividere con noi tre letture che lei ritiene fondamentali per lo studio della storia medievale.
Risposta difficilissima da fornire perché richiede una selezione impietosa all'interno di un numero incalcolabile di studi, tutti importantissimi per la comprensione della disciplina. Assecondo quindi i miei punti di riferimento personali che provengono, ancora una volta, dagli anni della mia formazione. Henri Pirenne, Maometto e Carlomagno: discusso, criticato e ridimensionato, a mio parere Pirenne ha ancora molto da dire, per metodo, coraggio interpretativo e un'analisi che, sotto il profilo politico, mantiene condivisibili i suoi fondamenti. Marc Bloch, La società feudale: perché è importante rendersi conto che molto di quanto ancora oggi si insegna nelle scuole a proposito dell'età feudale è stato smentito circa un secolo fa. Infine, un omaggio al mio Maestro. Ludovico Gatto, Viaggio intorno al concetto di Medioevo:una storia della medievistica dall'Umanesimo al XXI secolo in cui si rinvengono già sviluppate tante attuali piste di ricerca che talvolta si pretende di considerare del tutto nuove.
Autore
SIMONE SAVASTA