RENZO DE FELICE: UNA NUOVA STORIA DEL FASCISMO

20.11.2023

Se gli italiani vissuti durante il regime fascista dovettero vivere assieme a Mussolini per massimo vent'anni, ci fu chi fu costretto a condividere gran parte della sua esistenza con l'ex duce italiano.

Colui che al fascismo e a Mussolini rimase indissolubilmente legato fino alla fine dei suoi giorni fu uno dei più grandi storici italiani della seconda metà del 900: Renzo De Felice.

Interpretazioni del fascismo, Intervista sul fascismo, ma soprattuto la gigantesca biografia di Mussolini sono le opere che hanno reso De Felice il grande pioniere dello studio sul fascismo in Italia, ma allo stesso tempo anche uno degli storici più controversi della sua epoca.

Gli studi di De Felice furono inondati da una vera e propria tempesta, che vide studenti interrompere le sue lezioni, editori che si rifiutarono di pubblicare le sue opere ed addirittura un attentato sotto la sua abitazione.

Gli anni in cui lo storico pubblicò i suoi lavori furono infatti quelli delle più aspre contestazioni studentesche, dove la parola fascismo era un termine ancora molto caldo all'interno dell'opinione pubblica e del movimento di contestazione che infiammava le piazza italiane.

Un approccio storiografico-scientifico seriamente critico e distaccato dalla politica non era ancora stato messo in atto nel campo accademico italiano, a differenza di ciò che avveniva all'estero nello studio della Germania nazista, e a tentare una svolta nello studio del fascismo ci pensò proprio De Felice, andando delle volte a smentire una serie di certezze che erano state codificate da una cultura egemone.

Oltre un quarto di secolo dopo la sua morte, alcuni aspetti dello storico più importante dell'epoca fascista sono ancora poco noti e solo apparentemente contraddittori.

De Felice nacque a Rieti nel 1929.                                                                                                                         Nonostante fu spesso rigettato dai movimenti della sinistra italiana, in gioventù il futuro accademico fu un convinto sostenitore della causa marxista, tant'è che nel 1950 , durante una manifestazione contro l'utilizzo della bomba atomica, venne arrestato una prima volta e nel 1952, in occasione della visita a Roma del generale NATO Matthew Ridgway, fu portato in questura una seconda volta dove trascorse due intere notti.

Le convinte posizioni comuniste iniziarono però a vacillare solo quattro anni più tardi, quando nel 1956, a seguito delle note vicende ungheresi, fu tra i firmatari del cosiddetto "manifesto dei 101" ed a seguito del rifiuto de "L'Unità" di pubblicarlo, De Felice trasse le sue conclusioni abbandonando definitivamente il PCI.

In una lettera del 25 dicembre dello stesso anno, indirizzata all'illustre amico e storico Cantimori, De Felice scrisse: "Per il nuovo anno non credo proprio che rinnoverò la tessera al PCI, voglio vedere più chiara la questione".

Nonostante sia conosciuto come uno studioso dell'età contemporanea, De Felice iniziò la sua carriera accademica come modernista, pubblicando un importante lavoro sul giacobinismo.

Nonostante fossimo ancora lontani dagli echi di risonanza che generarono i suoi studi sul fascismo, anche le analisi condotte sulla rivoluzione francese portarono a numerosi dibattiti e frustrazioni.

Siamo infatti negli anni della guerra fredda dove si voleva un'interpretazione del giacobinismo legata ad un marxismo puro e con il giovane De Felice tutto questo scomparse, riuscendo a cogliere l'esistenza di un filone rivoluzionario che poteva potenzialmente creare dei regimi di tipo totalitario.

Questi studi innovativi portarono non pochi problemi alla carriera accademia di De Felice, il quale venne bocciato all'esame per il libero insegnamento e fu salvato in un secondo momento dall'amico e mentore Cantimori, il quale conosceva bene il valore del giovane studioso.

Vediamo dunque come già in giovane età De Felice stesse compiendo una sorta di piccola rivoluzione storiografica ,che guardava alla storia con una funzione "civile": rifiutando sia la concezione moralistica-militante di una storia in chiave ideologica e politica, sia quella positivista di una storia solo documentaria, senza alcuno sforzo di ripensamento critico.

Il 29 novembre del 1961 nella storica libreria Einaudi di Via Veneto a Roma, venne presentata la prima opera di De Felice sull'età contemporanea: Storia degli ebrei sotto il fascismo.

Il libro fu il primo lavoro scientifico sull'antisemitismo fascista e dopo un iniziale successo di critica iniziò una pioggia di feroce contestazione, la quale fu causata da numerosi punti scottanti che l'autore toccò: venne ad esempio messo in mostra l'imbarazzante passato antisemita di numerosi personaggi illustri del momento, fra tutti il presidente del consiglio Amintore Fanfani.

Ma il nome a suscitare maggiore scandalo fu quello di Leopoldo Piccardi, esponente in vista del partito radicale, che dell'antifascismo aveva da sempre fatto un'instancabile battaglia politica. Dopo una serie di controversie il partito si spaccò in due ed infine, dopo le dimissioni di Piccardi, finì per sciogliersi.

Altro grande elemento portato avanti nell'opera defeliciana è la questione delle leggi razziali italiane: esse spesso furono attribuite alle forti pressioni dell'alleato tedesco, ma il giovane storico dimostrò come esse furono una scelta autonoma di Mussolini.

La svolta nella carriera di De Felice arrivò quando Einaudi chiese allo storico di scrivere una biografia di Mussolini in quattro volumi.                                                                                                                                              De Felice accettò, non cosciente però che lo studio per la stesura di questi tomi non lo abbandonerà mai, egli infatti morirà senza aver concluso la sua opera, che da quattro era nel frattempo passata ad otto volumi.

Nel 1965 uscì il primo degli otto libro: Mussolini il rivoluzionario.                                                                        Già il titolo sembrò esprimere tutto, ovvero scardinare una serie di credenze politiche al fine di condurre un'analisi prettamente scientifica della figura di Mussolini.                                                                               Venne messo nero su bianco, con quella parola "rivoluzionario", come Mussolini fosse il portatore di una politica progressista ed innovatrice e non di un sentimento conservatore e reazionario come sembrerebbe più facile credere.

Grande scandalo fu causato dall'uscita del terzo tomo "Gli anni del consenso": Nell'Italia degli anni 70, attribuire un certo consenso popolare (per quanto mai libero) alla politica fascista dal 1929 al 1936, significò scatenare feroci attacchi e critiche di voler minimizzare la portata del fascismo.

Gli scandali ed i dibattiti fra storici infiammanrono anche le tribune della Rai, la quale organizzò in diretta televisiva un dibattito fra De Felice ed il famoso storico inglese Mack Smith.

Fu nel 1975 che la situazione si scaldò ancora di più. De Felice fu definitivamente accusato di riabilitare la figura di Mussolini, e tra i suoi nemici figurò anche Leo Valiani, ex dirigente del CLN, che aveva sovrinteso all'insurrezione generale del 25 Aprile e alla condanna a morte di Mussolini.

Così rispose De Felice "quella che può sembrare simpatia, è secondo me un'altra cosa. È una certa sorta di obiettività, che può sembrare simpatia. Oggi questa obiettività è necessaria, perché noi dobbiamo riuscire a capire cosa è stato davvero il regime fascista, perché se non lo capiamo, non solo rimane una pagina oscura della nostra storia, ma veramente si può correre il rischio che la gente equivochi su cosa è stato, e pensi che sia una cosa che in fin dei conti non è stata molto male e dunque si può ripetere".

Nel 1977 le sue lezioni presso l'Università la Sapienza di Roma iniziarono ad essere costantemente interrotte dai giovani appartenenti ai collettivi studenteschi, finché non si arrivò al punto in cui il Professor De Felice fu costretto ad entrare in aula accompagnato da una scorta.                                          Due mesi prima di morire di cancro nel 1996, dei giovani studenti arrivarono perfino a lanciare sulla sua terrazza di casa due bombe molotov.

Fra i grandi meriti di De Felice, oltre alla costruzione di una nuova interpretazione del fascismo, ci fu il ritrovamento di numerose carte indite, che spesso misero in imbarazzo alcuni antifascisti della prima ora, che invece ebbero piccoli o grandi rapporti con il regime.

Le critiche a De Felice, che arrivassero da destra o da sinistra, non si interruppero mai.

Lo studio di quegli anni è assai complesso e contorto, poiché risulta ancora oggi un'impresa ardua immergersi nel ventennio fascista privi di preconcetti.                                                                                 Almeno così dovremmo entrare silenziosamente anche nelle letture di De Felice, il quale stipulò delle tesi scientifiche ed accademiche, mai politiche.                                                                                                         Gli attacchi rivolti allo storico provennero sempre da coloro che non riuscirono ad affermare la complessità della storia.

La grande lezione che dobbiamo raccogliere da De Felice sta nell'affrontare la lettura di un libro di storia, o magari nell'entrare in un aula universitaria e ricordarsi che se si vuole comprendere a pieno e al meglio i grandi fenomeni del passato bisogna smetterla di vedere la realtà e la storia in bianco e nero: lo studio del passato significa confrontarci con la complessità dell'agire umano.

De Felice fu il primo vero grande studioso italiano del fascismo che ebbe il coraggio di separare il giudizio politico dalla ricerca scientifica, portando posizioni che furono spesso ed erroneamente giudicate "pericolose". Spesso fu minacciato e censurato, ma mai egli si piegò ad una opprimente volontà ideologica.



Autore 

SIMONE SAVASTA

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