I VOLTI DEL RISORGIMENTO: CAVOUR
La visione storiografica risorgimentale che ci viene spesso posta, è solitamente addensata e arricchita da una massiccia dose di retorica.
Si pensa spesso ad una storia risorgimentale eroica: il popolo italiano si innalza, guidato da una folta schiera di intellettuali, contro gli occupanti, per realizzare il sogno di una Italia unita.
Oppure si pensa ad una sorta di rivoluzione borghese sulla scia della Guerra civile inglese del 1642 e della rivoluzione francese del 1789.
La verità storica dell'unità di Italia è in realtà bene diversa e meno "romantica" di come ci viene spesso presentata.
Il neonato stato italiano dovette presto fare i conti con un tessuto sociale poco coeso ed unito nel nome di uno spirito nazionalista, dunque divenne necessario costruire una narrazione, quasi sempre più retorica che reale del risorgimento italiano, fatta di gesti eroici e battaglie mozzafiato, che spesso però trovarono poco riscontro nella realtà storica.
La reale storia dell'unità del nostro paese porta delle ferite che sono ancora oggi aperte, e sono causa di molti problemi che caratterizzano l'Italia contemporanea.
Lo studio del risorgimento italiano non può essere condotto esclusivamente su un piano politico e militare, ma per comprendere a pieno determinate vicende, è necessario intraprendere un'attenta analisi di quello che fu il substrato sociale e culturale della penisola preunitaria.
L'Italia di oggi è figlia di quella del risorgimento, ed è quindi in questo periodo che ne vanno cercati i caratteri e le peculiarità.
Occorre poi incastonare le vicende risorgimentali italiane in quelle internazionali della seconda metà del 1800, le quali sono determinanti nell'unione politica della penisola, che fu indubbiamente condizionata da fattori esterni. Se proprio volessimo esprimerci con le parole, schiette e nette, di un uomo dell'epoca, potremmo citare Bismark, che non esitò a parlare di un'unità italiana "fatta da tre S, di cui neanche una di esse venne fatta dagli italiani".
Le tre S a cui il primo cancelliere tedesco si riferì furono: San Martino, Sedan, Sadowa ; indubbiamente il contributo francese prima, e tedesco poi, fu essenziale nello sviluppo politico-militare del risorgimento, ed è altrettanto vero che da un punto di vista esclusivamente militare, il piccolo Regno di Sardegna, senza le giuste alleanze, non sarebbe riuscito ad ottenere molto.
Le alleanze però fu necessario costruirle e coltivarle, ed un'Italia unita andava immaginata prima di provare a metterla in atto nel migliori dei modi.
Se secondo Bismark il Risorgimento italiano fu dovuto più a fattori esterni che interni, non possiamo però negare il gigantesco ruolo che alcuni attori politici dell'epoca ebbero al fine di concretizzare le condizioni che gli si presentarono davanti.
Per poter comprendere a pieno i caratteri peculiari che si celano dietro il Risorgimento dobbiamo analizzare le linee di pensiero che caratterizzarono quegli anni, attraverso lo studio di personaggi chiave per l'Unità del nostro paese.
Il nostro era un paese che nella metà dell'800 ancora non esisteva, dotato di un territorio di grande storia e tradizione, ma fortemente frammentato: era un paese che andava pensato ed immaginato.
Se nelle tre guerre di indipendenza il ruolo decisivo da un punto di vista militare fu nelle mani di eserciti stranieri, le menti che si occuparono di concepire quello che a tutti gli effetti doveva essere un nuovo paese, un nuovo popolo, dei nuovi confini, furono italiane.
Tra i pensatori ed i burattinai che tessero i fili di questa contorta unione, ci fu sicuramente un piemontese, che si diceva parlasse e scrivesse molto meglio in francese che in Italiano: Camillo Benso Conte di Cavour.

Questo primo articolo dedicato alla storia del risorgimento ed ai volti e alle menti che diedero vita all'Italia unita, vuole essere dedicato alla figura e alla personalità di Cavour, il quale più di tutti seppe concretizzare le idee patriottiche e risorgimentali dell'epoca, unendole ad un sano pragmatismo politico dettato dalla reale situazione della penisola preunitaria e dalle vicende internazionali.
Cavour nacque nella Torino Napoleonica da una famiglia nobile originaria del medioevo.
"Il volume della persona, il volgare aspetto, il gesto ignobile, la voce ingrata", così Angelo Brofferio, storico rivale politico di Cavour, ci descrive il maggior artefice del risorgimento italiano.
La descrizione così ingenerosa che ci viene fornita è sicuramente frutto della rivalità politica tra i due, ma non possiamo però dire che queste parole non corrispondano all'immagine collettiva che di Cavour abbiamo tutti: un uomo di certo sgraziato nelle sue forme, che non pare essere un nobile di una delle famiglie più importanti del suo tempo: non appare impettito ed in alta uniforme, come spesso siamo abituati a vedere le raffigurazioni degli aristocratici dell'800.
Cavour però la divisa per un certo periodo della sua vita provò ad indossarla: fu infatti spedito in giovane età in accademia militare, ma la convivenza con gli altri cadetti e soprattuto con i superiori, non fu mai pacifica.
Nel giro di poco tempo verrà cacciato dall'accademia, a causa del suo carattere imperioso, e del suo tono perentorio con cui troppo spesso si rivolgeva ai suoi comandanti. Sembra già emergere una personalità forte, destinata a compiere grandi opere in futuro (non dobbiamo però farci trarre in inganno da questi racconti, i quali spesso vennero ingigantiti per favorire una propaganda risorgimentale dai toni romantici e patriottici).
Un aspetto essenziale della giovinezza di Cavour, che determinerà il carattere del giovane conte, fu l'essere costantemente rilegato ad avere un ruolo di secondo piano all'interno della sua famiglia: egli era infatti un figlio cadetto, un secondo genito.
Anche se Napoleone abolì il maggiorasco e formalmente i primogeniti non avevano alcun diritto in più sui propri fratelli, nelle famiglie dell'alta nobiltà europea, essere il secondo di nascita significava essere anche il secondo nelle gerarchie familiari e nelle opportunità che una famiglia come quella di Cavour poteva offrire.
Sono i suoi stessi parenti a raccontarci della sofferenza che il giovane Cavour provò per essere un figlio cadetto. In una lettera della zia Vittoria, quando Cavour è ancora un ragazzino, troviamo "L'idea di essere cadetto continua ad ossessionarlo, non la può accettare, sarà il tormento della sua vita". Questa condizione di inferiorità rispetto al fratello, lo porterà a rimanere solo tutta la vita, infatti preferì non sposarsi mai, senza mai costruire una famiglia.
Trascorse tutta la vita fra le stanze di palazzo Cavour, dove però il legittimo proprietario era Gustavo, suo fratello maggiore.

Se tutto ciò può sembrare irrilevante nella comprensione di quello che fu l'attore principale del risorgimento italiano, è in realtà molto esplicativo sapere che quello che per anni fu l'uomo più potente del Piemonte, ogni volta che tornava a casa, era costretto a sedersi a tavola nel posto di fianco a quello d'onore occupato dal fratello maggiore.
La posizione di secondo genito sarà centrale proprio nello sviluppo politico di Cavour, il quale, nonostante appartenesse ad una famiglia nobile, ebbe ben chiaro in mente che la sua posizione se la sarebbe dovuta costruire da solo, e ciò accentuò sicuramente il carattere ribelle che ebbe fin da bambino.
Il contrasto così forte che si creò con il suo ambiente familiare lo portò ad entrare in conflitto con tutto l'ambiente aristocratico di Torino, abbracciando le idee liberali.
È doveroso tenere a mente che essere liberali nel Piemonte del 1848, non significa essere dei moderati e pacati progressisti, ma bensì dei pericolosi rivoluzionari.
Dopo le guerre napoleoniche erano numerosissimi i nobili che invocavano "piombo e capestri, per contenere quegli insolenti avvocati, mercanti e popolani che si credono essere divenuti qualche cosa". Lo stesso Re Carlo Alberto definì il futuro primo ministro come "un carbonaro impertinente".
A pensare che Cavour fosse un pericoloso rivoluzionario non erano solo i salotti aristocratici della Torino dei primi dell'ottocento, ma anche le istituzioni: a 23 anni il giovane conte venne infatti schedato dalla polizia austriaca e durante un viaggio d'affari verso Milano fu condotto in questura per alcuni controlli.
La bravura ed il talento di Cavour inizialmente non si manifestarono in politica, ma in economia.
Egli ebbe sempre una perfetta consapevolezza della condizione di vita delle famiglie popolari del Piemonte dell'800, ed è proprio da economista che iniziò a farsi un nome nella Torino dell'epoca.
Oltre ad un attento sguardo sull'economia, Cavour ebbe sempre occhi vigili nell'analizzare i continui e repentini cambiamenti che animavano l'Europa di quegli anni.
In Francia ad esempio la monarchia crollò ancora una volta ed arrivò al potere il nipote di Napoleone, Luigi Bonaparte; mentre nel 1848 venne pubblicato il manifesto del partito comunista, ed i primi sentimenti socialisti iniziarono a diffondersi fra importanti strati di popolazione europei.
Arrivarono i primi scioperi anche in Piemonte e Cavour dimostrò una grandissima lucidità politica, comprendendo che per prevenire una possibile ascesa del socialismo, cosa di cui egli fu sempre terrorizzato, non bisognava dichiarare guerra alla classe operaia (se una classe operaia esisteva effettivamente nel nord Italia dell'800), ma era assai più conveniente garantire una condizione di vita dignitosa agli strati di popolazione più bassa.
Cavour si trovò schiacciato fra due muri contrastanti: da una parte il pericolo rivoluzionario dei rossi, dall'altra il tintinnar di sciabola dei governi reazionari, ed è per questo che nel 48 decise di entrare in politica, proponendo le sue idee moderate, nella speranza che lo stato Piemonte potesse virare verso posizioni liberali, come molti stati europei avevano fatto prima di esso.
Quando a Novara si perse la prima guerra di indipendenza e si manifestò il pericolo di uno stravolgimento della politica piemontese, Cavour scrisse "c'è il pericolo di venire sommersi dalle onde dell'anarchia o di rimanere incatenati al potere della sciabola"; afferrò a pieno che il mondo stava vivendo una stagione straordinaria e che lui voleva esserne protagonista.
Iniziò la sua carriera politica attraverso il giornalismo, infatti dopo la concessione dello statuto, a Torino sorsero fior di giornali ed il giovane conte decise di fondare il suo, che in maniera straordinariamente previdente, intitolò "Il Risorgimento".
Dopo l'iniziale sconfitta alle elezione in parlamento e dopo la delusione di non venir chiamato come ministro nel nuovo governo D'Azeglio, riuscì a farsi eleggere in delle elezioni suppletive e finalmente nel 51 venne chiamato al governo come ministro.
Si dimostrò fin da subito un politico di razza, riuscendo in breve tempo a far fuori D'Azeglio e a diventare capo del governo egli stesso.
Una fortissima impronta economica fu alla base della sua azione di governo: Cavour ebbe una netta idea di progresso in ambito economico ed arrivò ad inserire il Piemonte (e la successiva Italia) in quella straordinaria ondata di crescita economica che investì l'intero continente Europeo.
Impose una fortissima azione liberista, ma fu allo stesso tempo un fiero sostenitore della spesa pubblica statale, poiché rimase sempre ben cosciente che se anche nel nord Italia si volevano costruire ferrovie, canali ed i primi impianti industriali sarebbero state necessarie ingenti quantità di denaro, ed è per questo che Cavour non risparmiò mai nessuno dal pagamento delle imposte.
Questa colossale crescita non fu però fine a se stessa ma indirizzata verso la liberazione del paese delle ingerenze straniere e, in un secondo momento, all'unità d'Italia.
Gli anni dell'800 non furono infatti esclusivamente caratterizzati da sentimenti liberali e riformisti, ma anche da una grande ondata di romantico nazionalismo. Numerosi paesi in quegli anni tentarono di ottenere l'indipendenza dall'occupazione di potenze straniere, e queste idee patriottiche giunsero anche nella frammentata penisola italiana.
Sono infatti gli anni un cui fiorirono le più importanti idee risorgimentali, gli anni in cui iniziarono a circolare le idee di Silvio Pellico, di Carlo Cattaneo, di Gioberti, di Mazzini e di numerosi altri intellettuali, che videro ora giunta la giusta occasione per ottenere un'Italia finalmente unita.
Gli ostacoli per l'unità politica-geografica della penisola, furono essenzialmente due: le occupazioni straniere, dunque il lombardo-veneto austriaco, e le numerose frammentazione politiche presenti da nord a sud della penisola.
Inizialmente Cavour non ebbe alcun sogno risorgimentale: il suo spirito pratico e razionale non concepì come reale la possibilità di unire sotto un'unica bandiera le numerose divisioni politiche italiane, tant'è che durante lo svolgersi di un congresso definì l'idea di un'Italia unita come una "corbelleria"
Invece la prospettiva di una possibilità reale di ottenere la cacciata austriaca si manifestò nelle grandi vicende internazionali che coinvolsero l'Europa.
Nel 1854 si aprì una grande controversia internazionale fra Francia e Russia, riguardo la gestione di alcuni territori santi presenti all'interno dell'Impero Ottomano, che si risolse in una guerra fra Russia e un'alleanza anglo-francese.
L'ambasciatore inglese James Hudson sollecitò a più riprese Cavour nel dare un aiuto militare contro la Russia. Il primo ministro piemontese si dimostrò all'inizio cauto ed incerto, dichiarando che sarebbe sceso in guerra solamente se anche Vienna avesse fatto lo stesso, così da assicurarsi che gli austriaci non minassero l'integrità piemontese.
Per tutta l'estate del 54 l'Austria non mosse un passo, ma le pressioni inglesi sul Piemonte si fecero sempre più forti. Cavour, con la sua solita lungimiranza, capì al volo l'opportunità che gli si era presentata davanti: partecipare alle guerra di Crimea, avrebbe significato avere la possibilità di sedersi successivamente al tavolo delle trattative assieme ai governi di Francia ed Inghilterra.
Nei trattati di pace, a cui presiedette anche Cavour, il capo del governo italiano trovò il suo grande alleato in Napoleone III, che sappiamo essere stato il grande protagonista della seconda guerra d'indipendenza italiana.

L'alleanza fra Cavour ed il sovrano francese non fu però sempre solida: ci furono infatti momenti di forte incertezza da parte di Napoleone riguardo il sostegno da dare al Piemonte.
Nel 59 il sovrano francese sembrò deciso a tirarsi indietro e Cavour, che oramai si era compromesso fino in fondo con l'idea di fare la guerra all'Austria, accolse la notizia di un possibile ripensamento di Napoleone III con estrema tragicità, minacciando di spararsi in testa se la Francia non fosse tornata sui suoi passi.
Emerge dunque il ritratto di un uomo estremamente passionale, che in questi momenti di difficoltà, nell'intimo delle sue idee, non riesce a gestire la situazione con razionalità e freddezza, come invece era abituato a fare ai grandi tavoli di diplomazia europea.
Un'altra scena memorabile in cui Cavour mise da parte la freddezza che in politica lo aveva sempre contraddistinto, fu quando sembrò uscire letteralmente fuori di senno alla scoperta della firma dell'armistizio di Villafranca fra Napoleone III e l'Impero austriaco sotto nessuna opposizione del re.
Cavour con impeto irrefrenabile si recò immediatamente da Vittorio Emanuele II sbraitando furiosamente, prendendo a calci le sedie del suo palazzo e chiamando il re un traditore, affermando con rabbia "che quando un primo ministro deve sapere quando è l'ora di dimettersi, un re deve sapere quando è l'ora di abdicare".
Quel carattere ribelle ed impetuoso che lo contraddistinse durante tutta la sua infanzia non lo abbandonò neanche una volta giunto all'apice del suo successo.
Provare a comprendere Cavour non è un'impresa semplice: fu un uomo complesso, che apparteneva ad un'epoca complessa ed assai diversa dalla nostra.
Spesso ce lo immaginiamo come il grande statista che ha reso possibile l'unità italiana, niente potrebbe essere più vero. Ma accanto alle incredibili doti calcolatrici e strategiche, non dobbiamo scordarci della forte passione politica che sempre animò Cavour, dei sentimenti impetuosi ed irrefrenabili, che costantemente condizionarono le scelte prese in chiave risorgimentale.
Il segreto di quest'uomo risedette proprio nel perfetto bilanciamento fra personaggio delle istituzioni e passionale patriota, che immaginò l'Italia unita solo quando fu veramente possibile farla.
Autore
SIMONE SAVASTA